giovedì 15 febbraio 2018

Turma - Kraken (2016)

È indubbio: metalcore e deathcore sono generi davvero difficili da affrontare, specie al giorno d’oggi. Non è solo per l’altissimo livello tecnico che un musicista deve avere per suonarli: vista la grande esplosione che si è avuta a metà degli anni duemila, ora è molto arduo proporre questo genere in maniera fresca e non scontata. Per farlo serve un talento fuori dal comune, altrimenti è facile risultare stereotipati e privi di attrattiva: è purtroppo questo il caso dei Turma e del loro secondo album Kraken. Band napoletana che nel corso degli anni è passata attraverso thrash, heavy e groove metal, in questa nuova uscita affrontano invece un deathcore con qualche influsso dal metal vero e proprio – specie groove e death – e dal djent. Come connubio non è malaccio, e i Turma provano a supportarlo con un’energia discreta: purtroppo però Kraken soffre di un gran numero di difetti che ne castrano la resa. Come accennato prima, uno è la presenza di molti, troppi cliché: peraltro i napoletani  li affrontano in una maniera piuttosto sterile, senza riuscire né a dargli la minima personalità né a trovare il guizzo giusto. Il difetto principale dei Turma è però nel songwriting: a tratti è persino confuso, e in generale è poco focalizzato e privo di idee. All’interno di Kraken ci sono davvero pochissimi passaggi che restano in mente: per il resto è solo un lungo e ininterrotto macinare di ritmiche, che vengono a noia presto. Colpa anche di una forte omogeneità: quasi tutti i pezzi si confondono tra loro, solo un paio riescono ad avere una personalità. Contando anche alcune sbavature – per esempio nella registrazione, molto grezza e a tratti con evidenti errori – il quadro è completo: Kraken si rivela un album con molti difetti e troppe pochi punti forti per risultare almeno sufficiente.

Un breve intro cupo e atmosferico, col soffiare del vento, poi Feel No Pain entra in scena più o meno con le stesse suggestioni. Abbiamo un pezzo deathcore ma lento e strascicato, in cui a tratti spuntano chitarre melodiche oscure – che si scambiano col growl profondo di Raffaele Berisio: il tutto punta più sull’oscurità che sull’aggressività. C’è però spazio anche per qualche momento più pesante e feroce: all’inizio sono brevi tratti repentini, in cui i Turma accelerano di botto, ma pian piano quest’anima prende il sopravvento. La frazione centrale è lunga, rocciosa e sempre in movimento: alterna un buon numero di passaggi, alcuni davvero estremi – con Ciro Troisi che si sposta in blast beat – mentre lo spazio per rifiatare è poco. Il meglio è però la lunga parte finale, che si calma un po’ e unisce entrambe le anime del pezzo in qualcosa di ossessivo ma al tempo stesso catturante e di buona efficacia. È una bella componente per un pezzo non trascendentale ma buono, il che lo rende il migliore di Kraken! La successiva Mortal Combat comincia in maniera molto dinamica e senza fronzoli; ciò però dura poco, poi il brano si sposta su una norma cadenzata a tinte metalcore/djent. Anche questa parte è destinata a una vita breve, perché poi è la volta di un breakdown più lento e strisciante: all’inizio è di potenza discreta, ma quasi subito comincia a colorarsi di melodia e anche di un certo pathos. La frazione centrale è divisa a metà tra pesantezza e armonia, per un connubio che però sulla tre quarti si spezza: è allora il turno di uno strappo verso sonorità quasi brutal, specie nelle chitarre della coppia Lello Di Lorenzo/Gabriele Cipollaro. All’inizio è una frazione martellante, ma poi il ritmo rallenta e si fa più cadenzato, per un finale davvero cupo e rabbioso, che guarda ancora al death più estremo. In ogni caso, nonostante la complessità tutti i momenti funzionano bene: abbiamo un altro bel brano, poco distante dalla precedente per qualità!

Dopo un inizio tutto sommato incoraggiante, ora i Turma schierano Destroyer, che non lo è altrettanto. Il brano comincia dinamico e interessante, ma poi si perde progressivamente in una serie di momenti che sanno di già sentito. Sia la prima parte, più animata, sia i momenti più cadenzati che la seguono, sia la seconda metà a tinte djent sono insipide, c’è davvero poco che coinvolga. L’unica parte che riesce a incidere un po’ un po’ è la virata, poco prima della fine, verso sonorità espanse ma al tempo stesso con un pelo di tensione emotiva. Per il resto però abbiamo un pezzo che passa senza lasciare grande traccia dietro di sé. Dopo un breve intro strisciante del basso di Fabrizio La Manna, Fifth Joint si avvia quindi nella stessa maniera di Mortal Combat – specie per quanto riguarda l’urlo di Berisio. per fortuna però poi la band cambia direzione: dopo un breve preambolo più aperto, la traccia comincia a macinare chilometri, con accelerazioni repentine e fulminanti e altri momenti meno dinamici, ma sempre di gran energia distruttiva. Nemmeno la durata, ridotta a due minuti scarsi, è in fondo un problema: abbiamo un pezzo piacevole che riesce a coinvolgere in maniera discreta nella sua energia. Con la seguente Kraken invece i Turma tornano a note più dolenti. La cosa più evidente è che, forse per un errore di mastering o di mixaggio il volume del pezzo è più basso delle altre, e non solo: il suono sembra quasi ovattato, e già questo limita il complesso. Ma anche dal punto di vista musicale c’è poco da dire: la canzone è giusto una sequenza di momenti più lenti e rocciosi e altri più melodici, entrambi molto classici e triti. Anche per questo, nessuno dei due dice granché; del resto, la struttura li alterna in maniera un po’ casuale, e non li supporta a dovere. Abbiamo insomma un pezzo che si lascia ricordare solo per alcuni rari stacchi interessanti, ma per il resto rimane del tutto anonimo. 

Con Forgotten le coordinate non cambiano, ma almeno il volume torna normale e con esso l’energia. Dopo le urla di Berisio, comincia un pezzo dissonante e con una certa carica graffiante, che nonostante alcuni cliché già sentiti venti volte lungo il pezzo, riesce bene o male a coinvolgere. Tuttavia, questa norma si ripete un po’ troppo a lungo, e dopo un po’ viene a noia: molto meglio sono quegli stacchi che lo punteggiano. Ma pian piano anche quest’altra componente del pezzo scivola verso l’insipienza, con vortici deathcore spesso fini a sé stessi. Il brano si riprende solo con la frazione di tre quarti, più cadenzato e quadrato, che pur non essendo chissà che riesce a coinvolgere con la sua natura circolare. Nel complesso, abbiamo un brano riuscito a metà, il che lo rende il perfetto manifesto di Kraken. Ma va ancora peggio con Rebecca’s Shield, traccia davvero inutile: al suo interno non c’è nulla che già non abbiamo sentito. I momenti più pestati, quelli più cadenzati e “core”, persino i passaggi più preoccupati e melodici sono simili a quelli delle tracce precedenti. Magari sarebbero anche coinvolgenti se presi a sé stante: citerei per esempio la frazione centrale, con qualche tocco melodico che spinge verso il pathos. In questo contesto però non riesce a esprimere nulla: l’unica parte davvero degna d’attenzione e originale è nel finale, in cui al solito macinare del gruppo si accoppia un arpeggio di chitarra pulita per un effetto sinistro. Ma è troppo poco per risollevare l’intero pezzo alle spalle da un anonimato pressoché totale. Per fortuna, a questo punto il trascinarsi stancamente del disco è quasi finito: a concludere il tutto c’è Magam, altro brano pieno di cliché, ma che almeno si distingue dalla massa per il suo ritmo di base, più lento ed espanso, quasi marziale. Esso spunta dopo un intro che sa di già sentito da un miglio, quando la traccia si fa più distesa e ha un respiro diverso. Anche la struttura, che alterna momenti più pestati e macinanti e altri più aperti e dilatati, quasi riflessivi, contribuisce alla sua riuscita. Abbiamo un brano che non brillerà per originalità né per valore, ma ha almeno il pregio di essere sufficiente, un gradino sopra all’album che conclude.

Per concludere, come già detto, Kraken è un album con poche idee e tanti limiti, che non gli consentono di raggiungere la sufficienza. Sì, è vero, non è una completa schifezza: nella mia vita di ascoltatore ho sentito anche molto peggio, e almeno qualche spunto da salvare è presente. Credo però che i Turma dovranno lavorare tanto se vogliono fare qualcosa di più decente: la strada davanti a loro è molto lunga e tutta in salita. Ma senza ironie, auguro loro che riescano a percorrerla tutta.

Voto: 54/100

Mattia

Tracklist:
  1. Feel No Pain - 03:36
  2. Mortal Combat - 03:12
  3. Destroyer - 02:51
  4. Fifth Joint - 01:58
  5. Kraken - 03:12
  6. Forgotten - 03:04
  7. Rebecca's Shield - 04:15
  8. Magam - 01:53
Durata totale: 24:01

Lineup:
  • Raffaele Berisio - voce
  • Giuseppe Cipollaro - chitarra
  • Lello Di Lorenzo - chitarra
  • Fabrizio La Manna - basso
  • Ciro Troisi - batteria
Genere: metalcore
Sottogenere: deathcore
Per scoprire il gruppo: la fanpage Facebook dei Turma

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