giovedì 8 febbraio 2018

Black Space Riders - Amoretum Vol. 1 (2017)

Salve a tutti I nostri lettori. Anche quest’oggi ci imbarcheremo verso l’estero con la nostra recensione del giovedì. Tema di oggi? I Black Space Riders con il loro album Amoretum Vol.1.

I Black Space Riders nascono nel 2008 con la volontà di ritagliarsi il proprio spazio nella grande scena rock. Tentano già di centrare il proprio obiettivo con il Self Titled del 2010, Light is the New Black del 2012, Refugeeum del 2015 e Beyond Refugeeum del 2016. Tuttavia, noi oggi abbiamo intenzione di farvi scoprire l’ultimo lavoro della band, Amoretum Vol. 1 e capire se effettivamente l’obiettivo posto dalla band sia stato raggiunto dopo dieci anni di carriera.

  Amoretum vol. 1 si compone di otto tracce che denotano una certa ampiezza di manovra da parte dei Black Space Riders: si spazia dall’heavy, allo psichedelico, alle musiche con atmosfere più dimesse ed intimistiche. La prima traccia è Lovely Lovelie, dove già da subito la batteria agisce con colpi sicuri e la chitarra mostra la sua potenza. La voce va in perfetto accordo con i toni musicali proposti: più acuta in alcuni versi, più cavernosa in altri. Piacevoli gli intercalari chitarristici verso metà traccia e sicuramente apprezzabile è il contrasto tra i due stili vocali. Peculiare il finale con il gioco di echi e i suoni distorti che pian piano si attenuano. Già si percepisce l’attacco della traccia successiva, Another Sort of Homecoming, nei colpi di coda finali: il basso propone dei giochi molto interessanti nella sezione finale che poi successivamente si trasforma in iniziale. Pian piano si aggiunge in questa seconda traccia una delle due voci che abbiamo sentito precedentemente. I Black Space Riders ci mostrano uno stile abbastanza diverso rispetto alla prima traccia. Molto più ingombrante diventa l’elemento elettrico rispetto a Lovely Lovelie e meno presente è invece la chitarra. Siamo molto più negli schemi dell’alternative rock più che dell’heavy e la canzone nel suo complesso risulta molto più accattivante rispetto agli inizi più “brutali”. Con Soul Shelter (Inside of Me) cominciano le tracce di lunghezza notevole dell’album. Ancora una volta la band fa confluire una traccia già nella parte finale di quella che la precede e rimaniamo sugli elementi più da alternative rock. La batteria fornisce un bel ritmo suggestivo, riverberato dall’uso cosciente del basso. Tutto sta nel capire se la band riesce a gestire bene il tutto sulle lunghe distanze. Abbiamo sì l’alternativo, ma gli echi suggestivi, l’uso della batteria e la chitarra con i suoi tocchi qua e là, non protagonista totale del brano, creano anche un effetto totale che verte sullo psichedelico. Nella seconda parte del brano le sezioni si fanno più agitate e pesanti, ricollegando il tutto alle sonorità presentate nella prima traccia, con chitarre più aggressive e batteria più pressante. La traccia sembra scorrere via senza alcun problema nonostante la lunghezza. La questione si ripresenta con la successiva canzone però, ancora più lunga.

Con l’inizio di Movements la chitarra risuona quasi nel vuoto. Sulla sezione iniziale la voce principale quasi sembra più narrare che cantare. I toni sono calmi, tranquilli, quasi pacati in contrapposizione a quello che l’ascoltatore ha trovato prima. Bella anche sulla stessa parte la sezione ritmica. Solo verso il terzo minuto le cose sembrano movimentarsi un po’ di più grazie alla chitarra. Ritorniamo nell’abito psichedelico, però con una componente più heavy data proprio dalla chitarra, che in questo brano mostra l’abilità del proprio suonatore, come in una sorta di evoluzione dello strumento stesso. Tuttavia, la traccia risulta più debole nell’impatto e sembra gestita peggio per via della voce principale. Negli ultimi due minuti riprendiamo i ritmi più tranquilli e lenti e riprende anche il tema degli echi, già utilizzati in precedenza. Con Come and Follow è proprio la chitarra qui sopra citata che dà il sentore di quello che potremmo aspettarci già nella parte iniziale. Il basso l’accompagna e insieme danno inizio a una spettacolare sezione, dove la chitarra carica sui tempi psichedelici. La voce comincia a viaggiare su sezioni vocali più ampie, ma non va mai oltre il limite di ciò che può fare. Molto belli gli echi orientaleggianti, che, combinati alle atmosfere più aggressive, creno un miscuglio quasi da stile anni ’90 che ben si fa apprezzare. In Friends Are Falling, l’inizio è quasi minimalista, e si evolve poi in un ritmo scandito dal basso. Anche in questa parte iniziale, come in precedenza, la voce principale sembra quasi più narrare che cantare. Il minimalismo scompare completamente con i ritornelli, dove gli strumenti, quasi come carichi di rabbia, si riversano con la loro potenza sull’ascoltatore. Belli le sezioni di sottofondo che ricordano il minimalismo strumentale percepito all’inizio della traccia.

Eccoci già alla parte finale dell’album. Fire! Fire! (Death of a Giant) presenta un inizio con intro di chitarra e senso di eco come se non ci fosse un domani. Ritornano i motivetti psichedelici. Pian piano si fa notare il basso fino a raggiungere le vette sonoramente più cupe della traccia. Solo in un secondo momento i ritmi accelerano un poco di più grazie alla batteria, ma non di molto. Verso un terzo della traccia ritorna la contrapposizione di voci che già si era presentata nel primo brano, con l’apporto di sezioni più cariche. È di sicuro una canzone di transizione dove è apprezzabile la chitarra prima della sezione finale, ma non dice più di quanto il resto dell’album non abbia già detto. Da notare come il ritorno degli accenni di chitarra della parte iniziale alla fine fornisca il leitmotiv dell’intera traccia. L’ultimo brano è Fellow Peacemakers: la novità musicale qui è data dal pianoforte (ci potevano pensare forse un po’ prima ad introdurlo?) e poi gioco di seconde voci che però stona abbastanza con lo stile qui creato. Ritorniamo sul minimalismo. Il miglior lavoro a livello generale è di sicuro sulla chitarra che mostra delle sezioni sempre piacevolissime soprattutto dove si propaga quasi ad eco.

Cosa possiamo dedurre da un lavoro del genere? Ci sono sicuro dei buoni elementi, tuttavia strumenti come la chitarra e il basso prevalgono troppo rispetto ad altre componenti che sicuramente possono dare di più, come la voce principale ch non risulta particolarmente entusiasmante. Manca quel quid che ti fa venir voglia di ascoltare l’album fino a farti quasi sanguinare le orecchie. Non che non sia un buon album, sia chiaro, anzi, si percepisce un certo lavoro di rifinitura, tuttavia manca quel passo in più che può far notare lo stile peculiare della band, che ha saputo ricreare un miscuglio alternative/metal/psichedelico non da buttar via, miscuglio che con le tracce più lunghe non ha saputo reggere e traballa.
Alla prossima!

Voto: 65/100

Valetrinity

Tracklist:
  1. Lovely Lovelie - 04:09
  2. Another Sort of Homecoming - 03:54
  3. Soul Shelter (Inside of Me) - 06:03
  4. Movements - 08:01
  5. Come and Follow - 04:24
  6. Friends are Falling - 05:02
  7. Fire! Fire! (Death of a Giant) - 05:53
  8. Fellow Peacemakers - 07:29
Durata totale: 44:55

Lineup:
  • JE – voce, chitarra, tastiera, piano, elettronica
  • SEB – voce, tastiera, percussioni, elettronica
  • SLI - chitarra
  • MEI - basso
  • C.RIP - batteria e percussioni
Genere: alternative rock/metal
Sottogenere: alternative psichedelico
Per scoprire il gruppo: il sito ufficiale dei Black Space Riders

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