giovedì 27 luglio 2017

Mike Coacci - Soul Surgery (2017)

Un salve a tutti i nostri lettori. Quest’oggi ci addentreremo nell’analisi dell’ultimo album di un artista che divide spesso e volentieri il suo tempo tra il nostro paese e gli USA. Mike Coacci – questo il nome dell’artista di oggi – vanta già un album alle spalle, Change, uscito nel 2014 con evidenti contaminazioni tra blues e rock, e parecchie collaborazioni con molti nomi rinomati nel panorama musicale sia nostrano e estero. Alcuni esempi? Vasco Rossi, Omar Pedrini, Danny Losito, Federico Poggipollini, Double Dee, Ricky Portera, Joe Galullo e molti altri.

L’album che analizzeremo quest’oggi a Alternative Rock Heaven è Soul Surgery, pubblicato nel marzo 2017 e composto da dieci tracce e che, a detta dell’artista, presenta un sound molto più organico rispetto all’album precedente, con richiami dal sapore vintage agli anni ’70. Buttiamoci un occhio più da vicino.

La prima traccia che Mike Coacci ci presenta è I Stand Alone: subito ci aggrediscono i giri di chitarra senza dare alcun preavviso, molto ben bilanciati e intriganti. Dà in seguito quasi una virata verso suoni più da metal, tuttavia i toni sono più sommessi rispetto a quelli che ci attenderemmo da questo genere. C’è una leggera contrapposizione tra i ritmi veloci di chitarra e batteria rispetto a quelli più lenti imposti dalla voce. Già si nota che dietro questi brani c’è la mano di chi da parecchio tempo maneggia strumenti musicali e canta. Nel complesso tutto è ben strutturato, compreso il riff di chitarra a tre quarti della traccia, con la batteria che ben si accompagna passo dopo passo. In Prayer invece, la chitarra crea suoni che si propagano in maniera più rallentata, dove si sentono sicuramente in maniera più decisa i richiami agli anni ’70. La voce si mantiene sugli stessi livelli della traccia precedente e il ritornello si mostra con uno stile più rallentato e meno martellante. Una canzone che presenta uno stacco rispetto alla precedente e con un sottofondo di tristezza che – quasi non si direbbe – è sottolineato dai giri di chitarra d’assolo a tre quarti della traccia.

Electric Girl mostra ancora riff di chitarra quasi da anni ’70 a metà tra psichedelico ed heavy. I ritmi ritornano più martellanti e la voce risulta essere più graffiante e varia anche tra toni normali e picchi più acuti. Il ritornello tuttavia non riesce a mantenere lo stesso livello di coinvolgimento delle strofe, compreso il piccolo coro sulle parole Electric Girl. Tuttavia, la nota positiva è che nella sezione strumentale riusciamo ad ascoltare anche il basso finalmente, anche se questo ascolto è guastato da quelle note vocali acute lasciate qua e là che danno un po’ fastidio. No Ordinary Man presenta uno stacco differente a livello di ritmi. Abbiamo il pianoforte che ci porta verso atmosfere più soffuse. Al pianoforte ben si equilibra la voce di Mike e pian piano anche la batteria. Il cantante sembra innestarsi meglio su questo tipo di melodie contornate anche dagli immancabili giri di chitarra e in aggiunta riesce a calibrare la propria voce nelle sezioni dove questa per necessità si fa più acuta. Non c’è nessuno strumento che predomina prepotentemente. Con Hurricane ritornano i riff dal gusto settantiano con stavolta qualcosa in più che coinvolge l’ascoltatore. Siamo su melodie quasi più funky, tuttavia la voce si mantiene sui solidi standard e non si avventura oltre la sua comfort zone con qualcosa più sperimentale e che bene si potrebbe sposare con questa traccia. Immancabile la batteria martellante e un buon lavoro anche sulle seconde voci. Immancabile anche l’assolo di chitarra elettrica verso la fine della traccia che quasi offusca gli altri strumenti. In contrapposizione, You Should Know fa mostra di note quasi da rock ballad anni ’80 più che ’70, con riff ampi di chitarra e con una voce che tende a rallentare molto i ritmi. Sulla prima parte si rende molto più presente la batteria. Ancora una volta, Mike dimostra di cavarsela meglio con i pezzi a ritmi più rallentati rispetto a quelli più veloci e qui tende ad osare un po’ di più verso picchi vocali più ampi e ben strutturati nonché di durata maggiore. Con Without You una rullata di tamburi dà l’avvio a una traccia che ci porta quasi immediatamente alla mente Hendrix, con giri di chitarra niente male, tuttavia tutto questo aspetto viene completamente smontato dal ritornello, che non tiene testa al ritmo imposto dalle strofe. Perfino il solito assolo di chitarra sembra stonare sul ritmo imposto grazie anche alla batteria. Sweet Paranoia è invece una traccia molto più aggressiva, con ritmi e pennellate decisamente più da heavy metal che da funk rock anni ’70. La chitarra martella al massimo e i virtuosismi della batteria ne sono i degni compagni. La voce di Mike si mantiene sempre sugli stessi livelli, il che potrebbe lasciare perplessi quelli che si aspettavano una voce decisamente più graffiane in questo caso. Belli i passaggi a tre quarti della traccia dove rientra ancora l’assolo di chitarra. Believe presenta un suggestivo inizio, che oltre a ricordare Hendrix, ci porta anche qualche eco alla Santana. Le sezioni sono meno pressanti e i ritmi più rallentati e piacevoli all’ascolto. Mike Coacci riesce a trovare un miglior equilibrio su questo tipo di melodie sicuramente più romantiche e melanconiche e con questo tipo di sperimentazione (anche col supporto di altri tipi di chitarre) poiché è proprio su queste tracce che la sua voce riesce a presentarsi al meglio. L’ultima traccia è End Blues: i virtuosismi di Believe vengono infranti con quest’ultima traccia, che presenta ancora una volta note marcatamente heavy, on una presenza del basso decisamente più decisa, soprattutto in strofa. Il riff di chitarra prima del finale risulta essere più piacevole perché mostra una natura decisamente distorta che mancava nelle tracce precedenti. Tuttavia, un altro riff meno distorto è presente verso il quinto minuto della traccia.

Si tratta di un disco che dimostra come dietro ci sia qualcuno che da tempo è nel giro. Ci sono aspetti positivi e negativi da considerare. Prima di tutto, benché si nota che chi suona non è a livello amatoriale, ci sono ancora alcuni lavori da fare sul sound nella sua complessità. Si punta troppo sulla chitarra, la quale diventa fin troppo dominante e centrale, soprattutto perché ogni canzone contiene una sezione centrale dove si sentono i virtuosismi di questo strumento, con gli altri strumenti posti in un lontano secondo piano. Senza dubbio è presente un certo grado di sperimentazione, basta solo pensare a tutti i richiami funk rock e a tracce come Believe, la quale risulta essere una delle più belle e suggestive dell’intero album. Altri due punti negativi sono sicuramente il fatto che lo stesso sperimentare con i ritmi non si ritrova spesso a livello vocale, riservando all’ascoltatore un certo livello di piattezza che non si riesce a sopportare per tutto l’album. Altra nota dolente è la lunghezza delle tracce. Con i presupposti già evidenziati in precedenza, presentare brani che durano cinque, sei minuti o più rappresenta un grosso punto di svantaggio, anche se rimane in linea con i richiami ai brani rock anni ’70 che, in quanto a lunghezza in minuti delle canzoni, la sapevano lunga. Un album ben ragionato quindi, ma sul sound bisogna ancora lavorare in modo da presentare tracce che non siano solo un mero richiamo ad altri sound ma qualcosa di originale e autentico.

Voto: 65/100

Valetrinity

Tracklist:
  1. I Stand Alone – 03:40
  2. Prayer – 05:15
  3. Electric Girl – 04:36
  4. No Ordinary Man – 05:59
  5. Hurricane – 05:20
  6. You Should Know – 05:43
  7. WithoutYou – 05:02
  8. Sweet Paranoia – 05:25
  9. Believe – 04:51
  10. End Blues – 06:28
Durata totale: 52:19

Lineup:
  • Mike Coacci - voce e chitarra
Genere: alternative/funk rock
Sottogenere: alternative hard rock
Per scoprire il gruppo: il sito ufficiale di Mike Coacci

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