giovedì 22 giugno 2017

Kings of Leon - WALLS (2016)

Non è la prima volta che ritroviamo il nome dei Kings of Leon tra le nostre varie recensioni, e con una ragione di fondo. Con anni di esperienza alle spalle e almeno sette album in studio, i Kings of Leon possono vantare una carriera di tutto rispetto e la capacità di sapersi rinnovare pur mantenendo intatte le proprie radici senza alcun problema. Di questi quattro ragazzi ben cresciuti del Tennessee abbiamo deciso di recensire l’ultimo album in studio, WALLS, pubblicato ufficialmente nel 2016.

WALLS (acronimo di We Are Like Love Songs) è un lavoro ben lontano da quello scivolone che potrebbe essere considerato Come Around Sundown del 2010 e prosegue sulla stessa suggestiva linea di Mechanical Bull del 2012. Dopo almeno tre anni di inattività, i Kings of Leon riescono a proporci un album che mostra ormai un livello di quasi completa maturità della band, che riesce ancora ad emozionare e a far ballare dopo così tanti anni con il giusto equilibrio di southern e alternative rock. Bisogna considerare anche che dietro questo lavoro c’è la mano di Markus Dravs, uno che nel curriculum ha collaborazioni con Coldplay, Arcade Fire e Florence + The Machine. Non stiamo parlando della garage band dietro l’angolo insomma. Ma analizziamo come effettivamente si strutturano le dieci tracce che compongono quest’album.

Il colpo di apertura ce lo fornisce Waste a Moment, che potremmo definire come quella traccia che ben si adatta a cori da stadio, dove si parla di una ragazza che apparentemente freme di vivere, con l’incoraggiamento di Caleb Followill di prenderci il tempo per sprecare un momento. Il brano comincia con accordi basso, prima di poter scoppiettare in tutta tranquillità tra chitarre e batteria. Non si tratta di un brano da sottovalutare, poiché basta poco a questa traccia per entrare nella nostra testa. Dopo un paio di giorni vi ritroverete a canticchiarla senza sapere perché. In realtà, sembrerebbero apparentemente tutta una serie di motivi orecchiabili e basta, tuttavia queste tracce propose dai Kings of Leon propongono dei messaggi che ad un secondo attento ascolto non sembrano particolarmente allegri, quanto malinconici se non proprio tetri. È un contrasto che non si trova solo in questa prima traccia d’inizio, ma anche nel brano successivo Reverend, un tributo a Blaze Foley, cantante country morto nel 1989. Qui incontriamo inizialmente vivaci accordi di chitarra che ci riportano a un’atmosfera più da anni ’80 che non da anni ’10 del nuovo millennio. Il ritornello accattivante trae in inganno l’ascoltatore, con i suoi riff aggraziati e intriganti di chitarra. In realtà ci troviamo di fronte a un brano che puzza più di disperazione, come si evince da stralci di strofa come il seguente: “Don't you think you gotta give/ Give me something I want/Give me something I need”. Per quanto riguarda Around the World, questo brano possiede un attacco iniziale che fa l’occhiolino a melodie decisamente più funkeggianti che si protraggono per tutto il corso della traccia e che volendo fanno fare anche un paio di salti in pista all’ascoltatore. Tuttavia, come già riferito, in questo album i Kings of Leon sono stati abilissimi a mascherare sentimenti tutt’altro che allegri, creando una decisa peculiarizzazione delle proprie tracce, e Around the World non fa decisamente eccezione visto le parole che ne compongono la parte vocale ("One drop dead high/A price you're gonna pay" canta Caleb Followill)

Find Me è un brano che ci presenta uno scenario particolare: una ragazza si innamora di uno spettro che la tormenta in una stanza di albergo. Piuttosto particolare insomma. Questa traccia, come la successiva Conversation Piece, sono ispirate alla moglie del cantante, famosa modella. Per quanto riguarda Find Me, sono intriganti sicuramente i riff di chitarra e le pennellate di basso che si estendono per tutta la durata del brano. Ci troviamo di fronte ad una traccia con meno funk e più tragicità ed emozioni grezze messe a nudo, visibili anche grazie ai picchi raggiunti anche vocalmente. Over è sicuramente la traccia più triste dell’intero album, a confine quasi con tetro volendo, e che strizza l’occhio agli U2 per i fan di quel tipo di melodie. La storia narrata è quella di un uomo che si è impiccato e che sta esalando gli ultimi respiri, immagine facilmente comprensibile grazie a strofe quali "My angel hovers over/The light comes crashing in/I know it's how this here story ends/I'll hang around forever, until you cut me down/All pressed and ready to face the crowd". Suggestivi sono sicuramente il rullare della batteria e le trame di basso che accompagnano la voce principale e il lavoro sulle seconde voci fatto soprattutto nei ritornelli. Muchacho è un altro di quei brani dalla combo “motivo orecchiabile più tema triste”. Quasi a riprendere la lingua utilizzata nel titolo della canzone, il lettore si ritrova di fronte a ritmi rallentati, quasi da spiaggia del Messico al tramonto mentre si sorseggia un cocktail. Ci troviamo di fronte ad un esperimento di matrice quasi calypso, come si evince da tutto l’apparato di percussioni utilizzato. Nonostante tutto questo, l’anima southern rock non è mai troppo lontana grazie alla chitarra elettrica che risuona con il suo incedere lungo tutta la canzone. Tutto questo accompagna in realtà un’altra dedica, questa volta ad un amico scomparso prematuramente. Conversation Piece riprende le atmosfere rilassate del brano precedente, mescolando la rilassatezza tipica californiana con tracce del Tennessee e decisamente meno calypso. Qui si fanno sentire più gli effetti sintetizzati da studio, seppur in maniera delicata, creando un sound più intimo e meno aggressivo e basandosi su un fatto di vita reale accaduto al cantante. Con Eyes on You la matrice southern più spiccata dei Kings of Leon si fa sicuramente sentire, con chitarre spensierate miste a stringhe di basso e riff vivaci. La batteria rimane una costante ben equilibrata senza stonare troppo. Il basso si fa più presente nelle parti di ritornello, tuttavia sono le sezioni di chitarra che si impongono in maggior modo (soprattutto a ¾ del brano), riff ai quali si accorda perfettamente la voce principale. Ricordiamoci tuttavia che la vena un po’ creepy non è mai troppo lontana (esempio lampante la strofa "I'll hide in the dark in the back of your brain/Laughing aloud as we go insane". Con Wild stiamo arrivando pian piano alla parte finale dell’album del gruppo del Tennessee. L’inizio presenta in parallelo due tipi di riff di chitarre, una elettrica e una producente un suono distorto, le quali danno l’appoggio poi al motivo principale, dove batteria e chitarra elettrica si fanno sentire in maniera più decisa e quasi malinconica. Questa penultima traccia si propone forse come il brano più debole dell’intera struttura dell’album. Si possono salvare i ritornelli, che si immettono sulla scia dei ritornelli da simil stadio e che sottolineano la vena malinconica presente in questa traccia. WALLS è l’ultima traccia di questo lavoro. In questo caso all’inizio si presenta il suono di un cuore che batte. Gli unici strumenti presenti in questa traccia sono un piano, una chitarra e la voce di Caleb Followill. L’aura intimistica si impone con delicatezza, creando un’alchimia per un brano che tratta di disperazione, tristezza e abbandono. La parte più delicata e incisiva è sicuramente quella in cui l’unica voce presente lancia quasi delle grida disperate per sfogarsi. È una traccia sicuramente molto suggestiva e che lascia un gusto dolceamaro sul palato.

  Cosa dire quindi di questa ultima fatica dei Kings of Leon? Prima di tutto, si tratta di un lavoro ben calibrato ed assemblato. Si vede in modo deciso che la band sta cercando di lasciarsi alle spalle i flop del passato per ritornare pian piano agli antichi splendori, anche se non siamo ancora ai livelli di Only By the Night. Ogni elemento è forse troppo ben calibrato e un po’ manca l’iperattività presente nei primi album, che in questo caso compare solo a sprazzi. I Kings of Leon sono stati capaci di presentarci un campionario di brani che presentano un ampio spettro di arrangiamenti, senza che il leitmotiv e gli elementi base del lavoro siano andati a perdersi canzone dopo canzone. Ci troviamo davanti a un album per cui non basta un unico ascolto per essere apprezzato, ma va assaporato pian piano e più volte per poterne gustare i lati positivi. Un po’ come un vecchio whiskey (del Tennessee).
Alla prossima

Voto: 85/100

 Valetrinity

Tracklist:
  1. Waste a Moment – 03:03
  2. Reverend – 03:54
  3. Around the World – 03:34
  4. Find Me – 04:05
  5. Over – 06:10
  6. Muchacho – 03:09
  7. Conversation Piece – 04:59
  8. Eyes on You – 04:40
  9. Wild – 03:39
  10. WALLS – 05:29
Totale album: 42:42

Lineup:
  • Caleb Followill – voce, cori, chitarra, percussioni
  • Matthew Followill – chitarra, cori, percussioni
  • Jared Followill – basso, cori, percussioni
  • Nathan Followill – batteria, percussioni, cori
Genere: alternative/southern rock
Per scoprire il gruppo: il sito ufficiale dei Kings of Leon

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