giovedì 1 giugno 2017

All Else Fails - The Forever Lie (2017)

Personalmente, ho un rapporto un po’ ambivalente col metalcore. Non amo moltissimo quello che è diventato negli ultimi anni, un genere perfetto dal punto di vista tecnico e stilistico ma povero di vere emozioni. Adoro invece quei gruppi che anche con caratura tecnica inferiore puntano più sulla musicalità e riescono a incidere al meglio. Per fortuna, esistono ancora band di quest’ultima categoria, come per esempio gli All Else Fails, canadesi di Edmonton. Band esperta, hanno all’attivo due full-lenght e una manciata di EP, tra cui l’ultimo, The Forever Lie, è fresco appena di qualche mese. Il genere affrontato in esso dal gruppo non è niente di nuovo: parliamo del tipico metalcore moderno, coi suoi cambi di registro e tutti i crismi vari. Gli All Else Fails però possono contare anche su alcuni spunti di personalità: per esempio, ogni tanto sono presenti momenti più violenti della media, con influenze anche dall’hardcore e dal metal estremo. Soprattutto però The Forever Lie può contare su songwriting molto competente, che presta attenzione soprattutto al lato musicale ed emotivo invece che a riff e incastri – comunque ben fatti. È questo il segreto che lo rende vincente: al netto di un paio di pezzi meno riusciti, parliamo di un EP di gran valore, come leggerete tra poco.

La opener Beneath the Waves parte da un intro melodico, tranquillo e infelice, una natura sempre presente nel pezzo. Essa è piuttosto nascosta nelle strofe, che presto strappano con rabbia, con lo scream del cantante Barrett Klesko che si sovrappone a ritmiche aggressive e poco spazio per la melodia. Torna però alla carica con prepotenza nei ritornelli, aperti e melodici, di fortissima nostalgia, con la chitarra in lead che supporta bene la voce pulita, roca ed emotivamente carica del frontman. La struttura inoltre non è troppo intricata, le melodie tendono a ripetersi senza grandi mutamenti, seppur a livello di ritmi e arrangiamenti i canadesi varino un po’ le carte. Così, ogni tanto sono presenti passaggi lievemente più aggressivi, oppure momenti che uniscono le due anime del pezzo. Il connubio che ne risulta è molto ben fatto: abbiamo da subito uno dei pezzi migliori di The Forever Lie. La successiva The Sons of Plenty si avvia subito rabbiosa, per poi entrare nel vivo davvero estrema. La base è feroce, spesso Ryan Biggs usa addirittura il blast beat, e le ritmiche di Mike Sands e di Klesko sono taglienti sotto ai vocalizzi, che svariano tra diversi registri, tutti urlati. Per lunghi tratti il brano si muove su questa norma, che ha l’impatto di uno schiacciasassi e avvolge molto bene. Solo di tanto in tanto il panorama si apre, per chorus melodici che perdono in potenza ma compensano con una forte iniezione di pathos. Le due parti sono molto diverse, ma gli All Else Fails riescono a mescolarle molto bene. Completa il quadro una lunga progressione finale del tutto strumentale, che colpisce per energia ma soprattutto col suo mood crepuscolare e avvolgente. È la ciliegina sulla torta di un altro pezzo molto ben riuscito, il picco dell’EP col precedente. Dopo un campionamento preso da un discorso di Franklin Delano Roosvelt, è quindi il turno di The Forever Lie, che prende le mosse da un lungo intro cadenzato e spezzettato, tipicamente metalcore. Il pezzo vero e proprio è invece più diretto e graffiante, con strofe aggressive senza grandi fronzoli che però pian piano si ammorbidiscono, fino a raggiungere i ritornelli. Questi sono tristi e dimessi, con un caos di melodie di chitarre in cui la voce di Klesko quasi affoga, per un effetto molto piacevole. Se entrambe le parti funzionano, come anche le variazioni presenti qua e là, il brano sembra meno brillante dei precedenti, e la breve durata lo fa apparire incompleto e un po’ inconsistente. Abbiamo un pezzo discreto, che rappresenta tuttavia il punto più basso in assoluto dell’EP a cui dà il nome.

Si rallentano i ritmi per Twice Broken, traccia molto più tranquilla della media di The Forever Lie. Seppur la sua essenza sia sempre metalcore e non sia una ballata, il ritmo è lento, il riffage è sempre molto melodico e mai troppo dissonante, e il frontman usa soltanto la sua voce pulita. Ne deriva un affresco nostalgico e tranquillo, che sa avvolgere bene grazie anche a melodie sempre ben riuscite. Un esempio molto calzante è quello dei ritornelli, che colpiscono con gran forza grazie alla loro essenza dolce e quasi lancinante. Buona risulta anche la frazione centrale, l’unica davvero pestata e cattiva del pezzo ma senza stonare nel punto in cui è messa. In generale, abbiamo un brano di buona qualità, forse non il migliore dell’EP ma che sa bene il fatto suo. Si torna quindi a correre con Bones, traccia energica ma che non nasconde mai, nemmeno nei tratti più d’impatto, la propria essenza infelice e depressa. Per gran parte, la musica vive del dualismo tra potenza, spesso evocata dalle ritmiche o dalle dissonanze della chitarra, e una forte profondità emotiva, sempre ben presente negli accordi di base e nella voce. Inoltre, spesso compaiono momenti più distesi e delicati, come per esempio i refrain, non leggerissimi ma di ottimo impatto sentimentale, oppure l’espansa e morbida frazione centrale. Sono più rari gli sfoghi di pura potenza, il che è un bene: quelli presenti, per quanto piacevoli, sono in generale i meno belli dell’intero pezzo (a eccezione di quello sulla tre quarti, di gran efficacia). Poco male, comunque: abbiamo lo stesso un gran brano, a poca distanza dai migliori di The Forever Lie. A questo punto, siamo agli sgoccioli, e gli All Else Fails scelgono per l’occasione Terracide. In principio può sembrare una semi-ballata, con solo l’intreccio tra la chitarra pulita e il basso di Mike Generoux in scena, all’insegna di arpeggi delicati. Presto però deflagra un pezzo vorticante e impetuoso, con una grandissima carica di disperazione nella base, che pure è di gran impatto. È una progressione che porta il brano a incupirsi e ad accelerare sempre di più, finché a sciogliere la tensione non giunge il chorus, liberatorio e di gran pathos. Al centro c’è anche spazio per una sezione che sviluppa meglio le sonorità dell’intro, e le correda con la voce docile di Klesko, per una excursus bello ed emozionante. Il resto però non è da meno: quasi ogni passaggio avvolge a meraviglia e contribuisce alla creazione di un’aura dolorosa e avvolgente. Fa eccezione solo la frazione conclusiva, più intricata e pesante, che esprime rabbia ma non stona in coda a un pezzo grandioso, il migliore dell’album col duo d’apertura! La vera conclusione è però una breve traccia nascosta che arriva dopo un paio di minuti di silenzio. È un bizzarro frammento semi-thrash metal cantato a cappella: tutto sommato si tratta di un finale simpatico per l’album.

Per concludere, The Forever Lie è un bell’EP, personale e ben fatto, di sicuro ben al di sopra della media attuale del metalcore. Tuttavia, l’idea che traspare tra le righe è che gli All Else Fails potrebbero fare anche di meglio – e forse l’hanno già fatto, vista la loro carriera fin’ora ricca di uscite. Insomma, se siete fan di questo genere, il consiglio è solo quello di andare alla scoperta dei canadesi: è quasi sicuro che non ne resterete delusi!

Voto: 74/100 (voto massimo per gli EP: 80)

Mattia

Tracklist:
  1. Beneath the Waves - 04:12
  2. The Sons of Plenty - 03:35
  3. The Forever Lie - 03:35
  4. Twice Broken - 04:44
  5. Bones - 04:11
  6. Terracide - 07:55
Durata totale: 28:12

Lineup:
  • Barrett Klesko - voce e chitarra
  • Mike Generoux - voce e basso
  • Mike Sands - chitarra 
  • Ryan Biggs - batteria
Genere: metalcore

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