giovedì 4 maggio 2017

Down the Stone - Life (2016)

Nel mondo del rock e del metal, di solito essere “commerciali” è considerato un male. Spesso infatti puntare a sonorità più melodiche è visto come svendersi, inseguire i soldi invece che la propria ispirazione. In realtà questa è una generalizzazione: succede a volte che sia effettivamente così, ma non sempre. È per esempio il caso del gruppo di oggi, i milanesi Down the Stone: sono sicuramente molto commerciali, ma ciò non impedisce loro di essere validi e interessanti. Il loro più che alternative metal melodico si può definire come “pop metal alternativo”, potente ma al tempo stesso patinato, catturante e zuccheroso, quasi fosse davvero una versione alternativa del suddetto genere degli anni ottanta. In più i lombardi hanno diversi spunti per rendere la loro musica di alto livello: un esempio è la tastiera, che accompagna i riff in maniera non usuale, dando loro un notevole tocco di melodia. Lo stesso vale più o meno per la voce roca e particolare di Lorenzo Ricci: potrebbe usarla in maniera più aggressiva, invece preferisce qualcosa di più tranquillo, il che si sposa bene con la musica. Il vero segreto dei Down the Stone è però un altro: ci tengono a divertirsi e a divertire il prossimo con canzoni semplici ma capaci di intrattenere al meglio, senza prendersi troppo sul serio e con un certo senso dell’ironia. Sono questi gli elementi che rendono grande il loro Life – esordio sulla lunga distanza dopo la formazione nel 2013 e l’EP Metamorphosis quello stesso anno – uscito lo scorso 15 dicembre. Si tratta di un album con molti pezzi di pregio e parecchia sostanza, seppur non manchi qualche ingenuità. In particolare, il songwriting dei Down the Stone qui pecca un po’ di omogeneità: alcune soluzioni musicali e alcune atmosfere tendono a ripresentarsi qua e là nel corso del disco. Si tratta però dell’unico difetto degno di nota: come leggerete tra poco, per il resto Life è un album grandioso, che sfiora addirittura il capolavoro!

Si comincia con la rullata di Fabio Catozzi, preludio a Life, traccia perfetta come title-track, visto che illustra bene il suono dei milanesi. Abbiamo un pezzo di buona potenza e senza grandi fronzoli, specie nelle strofe, dirette e con un vago tono preoccupato nonostante la tastiera che interviene spesso per dare un tocco patinato ai momenti potenti. Questa norma lascia spesso spazio ritornelli, in cui Ricci duetta coi cori su una base più tranquilla, per un effetto molto catchy. Nella struttura c’è poco altro a parte un assolo di chitarra al centro, di gusto molto classico; per il resto abbiamo un brano semplice e lineare ma molto coinvolgente, che apre le danze col botto! La successiva Walking in My Shoes è stata scelta come singolo di lancio per l’album, e non è un caso. In principio mostra subito la sua falsariga principale, ritmata e ossessiva, per poi incanalarsi su un’impostazione delle più tradizionali. L’alternanza è tra strofe sottotraccia, con ritmiche lievi di chitarra e di tastiera che solo di tanto in tanto si fanno più rutilanti, e ritornelli zuccherosi, catturanti, con una melodia semplice ma che colpisce a meraviglia. Il tutto è all’insegna di una tranquilla e allegra vitalità, ma non mancano passaggi più potenti, con al centro il riff tagliente e circolare della coppia d’asce formata dallo stesso Ricci e da Giordano Conti. Nonostante la diversità, però, sono momenti che non stonano, anzi arricchiscono un brano che alla fine si rivela uno dei picchi assoluti dell’album, alla pari col precedente. A Good Day comincia quindi come un pezzo solido, che ricorderebbe l’alternative metal più classico se non fosse per le tastiere che gli danno un tocco di melodia e per l’atmosfera distesa e seriosa. Questa si mantiene per gran parte delle strofe, energiche ma al tempo stesso espanse, con anche un vago retrogusto stoner. Si cambia verso per i refrain, che svoltano di colpo su una norma quasi dance rock e si mostrano ballabili, festaioli e allegri, seppur la tranquillità precedente non lasci la scena del tutto. Forse la loro melodia di base non è incisiva come in precedenza, ma in fondo sono di buon valore. C’è di nuovo poco altro da riferire, a eccezione di una parte centrale solistica di interesse, divisa tra toni intimisti e un assolo molto classico, e un finale anche più sognante del resto. Sono giusto dei dettagli per un pezzo piuttosto buono, anche se meno rispetto alla media di Life.

Hammer mescola in sé diverse anime: se l’alternative metal è la base, di tanto in tanto si trovano spunti a là Black Sabbath, come melodie southern e passaggi da rock anni ottanta. È un’essenza cangiante che si può sentire al meglio nei vari passaggi strumentali che la costellano, ma non sparisce né nelle strofe, dirette e con un riffage basso e possente, né nei chorus, più leggeri e orientato verso il pop metal, ma con una nota irriverente. Nella struttura trovano spazio anche una parte strumentale allungata al centro, in cui oltre ai chitarristi si mette in mostra anche il bassista Lorenzo Grassi, e qualche momento caratterizzato da potenti cori. Per il resto il pezzo è molto lineare, ma ciò non gli impedisce di essere efficace ai massimi livelli, tanto da risultare tra i migliori pezzi di Life! È ora la volta di My Mind: presenta fin dall’inizio forti influenze dal metal classico, seppur il trademark dei Down the Stone sia sempre presente. Ciò è palese non solo nelle tastiere e negli spunti alternativi che costellano le strofe, ma soprattutto nei ritornelli, per l’ennesima volta di ottimo impatto e con melodie a presa rapida. Stavolta la struttura è persino più semplice che in passato, al centro non c’è nemmeno un assolo – sostituito da una breve parte con la chitarra pulita – ma in fondo non importa: il risultato è lo stesso di livello elevato. Hate Me, che segue, è un brano più  potente della media della scaletta, sin dall’inizio con un riffage maschio che le tastiere stavolta non rendono melodico, ma anzi più oscuro. Parte da qui un pezzo diretto in cui il classico mood divertente dei milanesi è poco presente, lasciando spazio a qualcosa di più preoccupato –ovvio, visto il testo che parla di odio religioso. Lo si può sentire sia nelle strofe, seriose e con elementi quasi groove metal, sia nei bridge, quasi rabbiosi, sia nei ritornelli, con cori melodici ma in qualche modo ombrosi, crepuscolari. Sullo stesso mood particolare si muovono gli altri arrangiamenti, come il bell’assolo centrale. In generale abbiamo un pezzo  più cupo rispetto al resto dell’album, ma senza stonare: al contrario, il livello è ancora molto alto. Si torna quindi a qualcosa di più disteso con To Live or to Die, anche se il mood stavolta è malinconico e quasi intimista: merito di una base molto più orientata sulle melodie che sui riff. Ciò avviene sia nelle strofe sotto-traccia che nei bridge e nei refrain sognanti e che possono sembrare allegri, nonostante un velo di tristezza in sottofondo li offuschi. Completa il cerchio un assolo intenso, perfetto per il contesto in cui è inserito: è la ciliegina sulla torta di un pezzo che forse sa un po’ di già sentito, ma a parte questo è ottimo, un pelo sotto ai migliori di Life!

Dopo un esordio tipico per i Down the Stone, Head si orienta su qualcosa di più particolare: il riffage di base è obliquo ed espanso, e al di sopra i lombardi mostrano il loro lato più bizzarro e alternativo. È una falsariga strana ma molto gradevole: peccato non si possa dire lo stesso dei ritornelli. Non sono spiacevoli, la loro melodia è carina e catchy al punto giusto, però a questo punto sembra di sentire uno dei pezzi precedenti, i suoi temi musicali sono triti. Va molto meglio negli altri passaggi, specie al centro, che conquista con la sua potenza.  Il risultato complessivo è buono ma un po’ sotto alla media dell’album. È ora il momento di I Don’t Care,che dà l’illusione di essere molto melodica, con l’esordio patinato seguito da una strofa diretta ma piuttosto tranquilla e sottotraccia. Invece stavolta i milanesi stupiscono: pian piano il tutto sale di intensità fino ai ritornelli, che pur senza eccessiva potenza e con molta melodia si mostrano riottosi e sfrontati, con la voce di Ricci sostenuta da possenti cori. In tutto questo, l’aura è animata e incalzante ai massimi livelli, grazie anche ad arrangiamenti come l’assolo centrale, di nuovo di livello molto alto, o il finale che sembra quasi citare i Deep Purple (peraltro aleggianti in maniera vaga su tutto il pezzo). È quanto basta al complesso per essere poco sotto al meglio che la scaletta abbia da offrire. Va però ancora meglio con Your World: si divide tra lunghi passaggi molto rockeggianti, come quello iniziale, e passaggi più potenti, con un riffage pesante e basso, ma che grazie alla voce del frontman e agli arrangiamenti non rompe la carica melodica generale. Al contrario, c’è spesso spazio per momenti più tranquilli e melodici, tra cui brillano chorus che ancora una volta colpiscono con forza per espressività e si stampano all’istante in mente. Di nuovo, la struttura è molto semplice e basilare, ma ogni passaggio è piazzato nel punto giusto per incidere. Abbiamo un brano davvero grandioso, il più valido di Life col duo d’apertura e Hammer. Siamo ormai in dirittura d’arrivo, e per concludere l’album i Down the Stone decidono di schierare Poker Face, cover di Lady Gaga: una scelta bizzarra, ma che nel loro caso paga. Di solito trasportare un pezzo pop in ambiente rock o metal ha effetti ridicoli – non per niente lo fanno principalmente gruppi demenziali – ma non è il caso dei milanesi. La loro versione di questo pezzo è ironica ma anche sentita e molto curata, tanto che a un ascolto distratto può sembrare quasi un pezzo loro, invece che dell’artista americana. La potenza è quella giusta, come il fascino che il gruppo riesce a darle: il risultato è una cover molto riuscita, che chiude un album del genere nel migliore dei modi.

Come già detto all’inizio, nonostante la sua lieve omogeneità Life è un grande album, a poca distanza del capolavoro. D’altra parte, c’è da dire che forse i Down the Stone non sono un gruppo per tutti i palati: potrebbero risultare troppo melodici e tradizionalisti per i fan dell’alternative metal più classico e troppo alternativi per quelli del metal melodico tradizionale. Se però nessuno dei due mondi vi dispiace e siete disposti ad ascoltare i milanesi con la giusta apertura mentale, vi potrebbero regalare delle belle ore di musica. il consiglio è quindi di scoprire questo loro esordio.

Voto: 88/100

Mattia

Tracklist:
  1. Life - 03:44
  2. Walking in My Shoes - 04:02
  3. A Good Day - 03:35
  4. Hammer - 03:43
  5. My Mind - 03:19
  6. Hate Me - 04:09
  7. To Live or To Die - 03:45
  8. Head - 04:03
  9. I Don't Care - 03:40
  10. Your World - 04:06
  11. Poker Face - 03:39
Durata totale: 41:51

Lineup:
  • Lorenzo Ricci - voce e chitarra
  • Giordano Conti - chitarra
  • Lorenzo Grassi - basso
  • Fabio Catozzi - batteria
Genere: alternative metal
Per scoprire il gruppo: il sito ufficiale dei Down the Stone

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